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Ritalin, la CUF sollecita la multinazionale farmaceutica per introdurre il farmaco

LA CUF SOLLECITA L’AZIENDA FARMACEUTICA A INTRODURRE IN ITALIA IL FARMACO PER TRATTARE I BAMBINI IPERATTIVI
Un calmante discusso per una sindrome vaga
Fonte: Tempo medico

Il metilfenidato (noto ormai a tutti con il nome commerciale Ritalin) si accinge a sbarcare in Italia. E, se la stampa non se ne accorge troppo tardi, questa può essere un'ottima occasione di discussione sull'uso adeguato di un buon farmaco di nicchia che rischia di essere prescritto oltre l'indispensabile e di dar vita a un eccesso di diagnosi per l'impalpabile "sindrome da disturbi dell'attenzione" (in sigla ADHD, attention deficit hyperactivity disorder).

Questa storia nasce negli Stati Uniti. Qui esiste da anni una spasmodica attenzione ai bambini distratti, con l'argento vivo addosso, quelli che a scuola non riescono a concentrarsi per più di pochi minuti, parlano in continuazione, si alzano dal banco e una volta a casa combinano disastri, litigano con i fratelli, rischiano di farsi male. Certo, non sono comportamenti facili da affrontare, soprattutto se la giornata degli adulti è scandita da orari impossibili, corse in mezzo al traffico e salti mortali per conciliare il lavoro con la cura di casa. Così, la via farmacologica al controllo dell'agitazione ha trovato un terreno fertile. E' stata, negli Stati Uniti, la risposta classica a questi problemi. Ed eccolo, il farmaco costruito a base di metilfenidato, una sostanza classificata tra le amfetamine, il toccasana per curare i bambini agitati. Un medicinale che è al centro di tante polemiche: il metilfenidato.

Messo a punto negli anni cinquanta, è stato usato a lungo per la cura di malattie rare come la narcolessia, fino a che non ne è stato scoperto l'effetto paradosso calmante sui bambini iperattivi o con deficit dell'attenzione. In questi bambini viene riconosciuta un'alterazione biologica che impedisce loro di selezionare gli stimoli ambientali, di pianificare le proprie azioni e di controllare i propri impulsi. "Se non trattato" affermano i sostenitori di questo farmaco, come Alessandro Zuddas, neuropsichiatra infantile del Dipartimento di neuroscienze dell'Università di Cagliari "il disturbo compromette numerose aree dello sviluppo e del funzionamento sociale del bambino, predisponendolo, nelle successive età della vita, ad altre patologie psichiatriche o al disagio sociale: cioè all'alcolismo, alla tossicodipendenza, al disturbo antisociale di personalità".

Un’ascesa fulminea
Sta di fatto che dagli anni cinquanta la scalata del farmaco al mercato americano dei prodotti pediatrici non ha incontrato ostacoli: tra il 1989 e il 1996 negli Stati Uniti le prescrizioni sono cresciute del 600 per cento, ancora oggi il 90 per cento della produzione mondiale di metilfenidato viene assorbita da questo solo paese. Ma le cose potrebbero cambiare molto presto.
Il metilfenidato si accinge a sbarcare anche in Italia. Lo scorso mese di ottobre la Commissione unica del farmaco (CUF) ha invitato la azienda produttrice ad avviare le procedure per la registrazione del prodotto anche in Italia "visto il ruolo del metilfenidato nel trattamento dell'ADHD e vista l'elevata incidenza di questa manifestazione in età pre-adolescenziale e l'assenza di farmaci alternativi". L'azienda farmaceutica già dal 18 ottobre ha confermato al Dipartimento per la valutazione dei medicinali del Ministero della sanità di essere pronta a mettere a disposizione il farmaco in tempi brevi.

La sindrome da disturbi dell'attenzione, con o senza iperattività, di cui parla la Commissione unica del farmaco, è l'ombrello diagnostico che copre la possibilità di prescrivere il metilfenidato. Il fatto è che i dubbi di alcuni specialisti riguardano proprio questa sindrome. Che alcuni ritengono porti a un uso troppo disinvolto del farmaco. "La terapia farmacologica del deficit della attenzione e dell'iperattività può senz'altro essere una necessità, ma tutto dipende dalla gravità del disturbo e dal percorso diagnostico che è stato seguito" precisa il farmacologo Silvio Garattini, direttore dell'Istituto Mario Negri di Milano. "Per quanto riguarda il nostro paese ci sarebbe bisogno di studi formali che valutino l'efficacia del farmaco e, soprattutto, che definiscano i criteri diagnostici e registrino nel tempo l'andamento di questa sindrome, la cui incidenza, in realtà, non è nota".
Insomma, l'ADHD è ben lontana dall'essere una entità diagnostica accettata da tutti, tanto più che l'esperienza statunitense ha messo in guardia sia i medici sia le famiglie. Perché è facile - anzi, sempre più facile, sotto la spinta della suggestione sociale - superare il confine tra l'irrequietezza e il disagio, tra la vivacità e la patologia. E finire per trasformare le caratteristiche tipiche dell'infanzia in sintomi curabili con una medicina.
Negli Stati Uniti, mano a mano che la Società americana di psichiatria (che compila il celebre DSM, la bibbia delle malattie mentali e dei loro sintomi) allargava i criteri diagnostici entro i quali far rientrare l'ADHD, il paese si è andato popolando di bambini con "difficoltà a stare al proprio posto", "incapacità di tacere", "impossibilità di occuparsi delle proprie cose". Tutti afflitti da ADHD e tutti curabili a colpi di metilfenidato. In Virginia, in Nord Carolina e nel Michigan, il 10-15 per cento dei bambini in età scolastica si trova ormai a consumare quotidianamente la propria "pillola dell'obbedienza".

Spacciato come cocaina
Con qualche conseguenza imprevista: la DEA (Drug Enforcement Agency, l'organismo federale incaricato della lotta contro la droga) ha messo in guardia le autorità locali perché prevengano lo spaccio di metilfenidato davanti alle scuole. La sostanza infatti è anche oggetto di un commercio illegale. Tritate e ridotte in polvere, le pillole vengono sniffate da molti ragazzi nei campus o nelle scuole al posto della cocaina. Uno studio dell'Università della California di Berkeley, inoltre, afferma che i bambini trattati con metilfenidato hanno un rischio tre volte maggiore degli altri di diventare tossicomani.
"E pensare che in quasi 32 anni che faccio questo mestiere (e io lavoro sul territorio a contatto con la popolazione più varia) avrò incontrato in tutto un paio di casi di ADHD. La sindrome da deficit dell'attenzione è una patologia complessa, vaga nei segnali e difficile da riconoscere. Mi chiedo se non si finisca con il costruire profili diagnostici solo sulla base della loro capacità di rispondere all'azione di un certo farmaco" sottolinea Anna Anglani, responsabile dell'Unità operativa di neuropsichiatria infantile della ASL 11 di Empoli. "E poi, l'Italia è l'unico paese al mondo che non applica nessun tipo di discriminazione scolastica verso nessun tipo di handicap. L'accettabilità sociale di questa sindrome è ben diversa da quella che si respira negli Stati Uniti. E' vero invece che il disagio dei più piccoli è in aumento, e che questo mette in crisi la capacità degli adulti di farsene carico".
Che la ADHD sia una sindrome dai contorni vaghi è confermato anche dalla mancanza di certezze sulla sua incidenza: i dati della letteratura indicano dal 2 al 20 per cento, con uno scarto troppo ampio per essere di qualche utilità. "In Italia sono stati condotti tre studi epidemiologici, uno in Toscana e uno in Umbria nel 1993 e uno in Emilia nel 1997. Queste ricerche mostrano che, quando il disturbo viene specificatamente ricercato, la sua frequenza nella popolazione infantile è di circa il 4 per cento" sostiene Alessandro Zuddas. "D'altra parte, i sintomi da soli non bastano per fare una diagnosi: qualsiasi bambino, anche il più normale, può presentarli tutti. Bisogna che siano presenti sempre, in tutti i contesti e che si siano affacciati prima dell'inizio della scuola; poi bisogna saperne valutare l'effetto sulla qualità della vita del bambino. Ma, se anche la ADHD riguardasse solo l'uno per cento dei piccoli, sarebbero pur sempre tanti. E senza farmaco, sono bambini senza aiuto. Certo, il farmaco non è indicato per tutti e la terapia va praticamente cucita addosso a ogni bambino. Ma quando funziona migliora la qualità della vita".

Questa visione delle cose è la stessa che, non più tardi di due mesi fa, ha guidato il NICE (National Institute for Clinical Excellence), l'ente britannico deputato a valutare la qualità dei farmaci, a promuovere il Ritalin (e il suo omologo Equasym) come medicina di scelta per il deficit d'attenzione, con o senza iperattività. Una decisione che, anche nel Regno Unito, ha polarizzato due fronti opposti, divisi sull'opportunità di concedere la rimborsabilità del farmaco.

"In Gran Bretagna, in ogni caso, il metilfenidato può essere prescritto solo dagli specialisti, mentre in Italia l'iniziativa della CUF segue una raccolta di firme in cui la maggior parte dei firmatari sono pediatri di base, e non neuropsichiatri o esperti dell'età evolutiva" denuncia Silvio Garattini. "E' vero, la richiesta per la messa in commercio del farmaco anche in Italia arriva soprattutto dai pediatri di famiglia" rilancia Zuddas "ma questo è comprensibile: sono loro che, più di tutte le altre categorie di medici, si trovano ad affrontare il disagio dei piccoli pazienti e dei loro genitori".

Eva Benelli