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AMMESSO DAL GIUDICE IL NESSO CAUSA-EFFETTO TRA TUMORI E CELLULARE

  «Quello che mi interessa non è conseguire un vantaggio economico, percepisco già la pensione di invalidità dall'Inps: vorrei solo che si affermasse il principio che gli utenti devono essere informati sui rischi dell'uso prolungato dei telefoni cellulari. Basta sensibilizzarli su alcuni accorgimenti, come i vantaggi nell'uso del viva voce o degli auricolari ». A parlare è Innocente Marcolini, 57 anni, bresciano, ex dirigente aziendale. La Corte d'appello di Brescia gli ha riconosciuto la malattia professionale e un grado di invalidità dell'80% in seguito a un tumore benigno al nervo trigemino (che gli ha causato un intervento e sette anni di cure), riconosciuto dai giudici come conseguenza dell'uso prolungato del telefono cellulare. Apparecchio che Marcolini, per la sua attività lavorativa, usava tutti i giorni, per diverse ore.

In primo grado, il giudice del lavoro aveva dato ragione all'Inail, controparte nella causa, negando la connessione tral'uso del telefonino per scopi lavorativi e l'insorgere del tumore. Ora il dispositivo del giudice d'appello accoglie la tesi di Marcolini e dei suoi consulenti, con le motivazioni che saranno rese note solo tra qualche settimana, al deposito della sentenza.

La patologia denunciata da Marcolini come conseguenza dell'attività lavorativa rientra fra le malattie professionali «non tabellate»per l'Inail,quelle cioè per cui deve essere il lavoratore a provare il nesso di causalità tra la malattia e il lavoro. Così sono ad esempio le patologie tumorali, la cui origine può essere legata a più fattori, come, ad esempio, la predisposizione genetica.

Di fatto, con il riconoscimento della malattia professionale e di un grado di invalidità pari all'80%, a meno che l'Inail non ricorra in Cassazione, Marcolini dovrebbe ottenere dall'istituto un indennizzo sotto forma di rendita, calcolata in base alla retribuzione percepita durante l'attività lavorativa. Per gradi di invalidità compresi fra il 6% e il 15%, l'indennizzo consiste invece in una somma una tantum.

Quanto al risarcimento da parte del datore di lavoro, questo dovrebbe essere richiesto dall'ex dipendente in una causa separata, e potrebbe essere riconosciuto,in aggiunta all'indennizzo Inail, soltanto in presenza di una sentenza penale di condanna che stabilisca la responsabilità dell'azienda per non aver tutelato il lavoratore. «Credo che purtroppo registreremo altri casi simili a quello su cui si è espressa la Corte d'appello di Brescia», osserva Angelo Gino Levis, biologo dell'università di Padova, nonchè consulente di Marcolini nella causa contro l'Inail. «I neurinomi al trigemino o i tumori alla parotide, come quello contratto da un ex manager di Cremona che approderà in tribunale tra poco, hanno una fase di latenza di circa dieci anni».

Per il Codacons, la sentenza di Brescia «apre la strada a una possibile class action».

fonte codacons

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