Antidolorifici da sballo
Antidolorifici da sballo
Negli Usa dilaga la dipendenza dai farmaci “pain killer”. Che anziché l’estasi promettono la calma chimica. Spesso mortale. E ora anche in Europa...
In America li chiamano painkiller, gli ammazzadolore. Sono gli oppioidi, farmaci potenti prescritti ai malati oncologici, a chi patisce dolori cronici o postoperatori severi. Ma hanno cominciato ad ammazzare anche chi il male lo sente nell’anima, più che nel corpo, diventando droga su misura per questi tempi di disperazione banale, low cost, senza fiori del male da cogliere e orizzonti “altri” da esplorare. Così l’America fa i conti con un dramma finora rimosso, e cioè l’impressionante catena di decessi e dipendenze provocati fondamentalmente da due principi attivi, l’ossicodone, che Oltreoceano miete più vittime di eroina e cocaina insieme, contenuto nei farmaci OxyContin, Percodan (da noi venduto come Depalgos) e Percocet, e l’idrocodone, “amato” dal dottor House e da Eminem, presente nel Vicodin (non si vende in Italia ma si compra in rete). Altrettanto pericoloso il fentanile, somministrato con cerotti transdermici.
E sebbene il gossip ci elenchi i vip morti per antidolorifici, Heath Ledger, Michael Jackson, Anna Nicole Smith, in realtà questa tossicodipendenza ha mutato indirizzo e identikit della vittima tipica, non più il ghetto metropolitano ma i quartieri residenziali, non più il giovane nero ma il bianco di mezz’età. Molti farmacisti, presi di mira da rapine a mano armata, si attrezzano e appendono i cartelli «Non vendiamo painkiller». E si attrezza la Food and Drug Administration, che tira il freno a mano di produzione e distribuzione dei farmaci non autorizzati a base di ossicodone.
«Crescita fisiologica, dice Riccardo C. Gatti, medico, psicoterapeuta e specialista in psichiatria, direttore del Dipartimento delle dipendenze della Asl di Milano. «Ma attenzione, non è vero che se il farmaco è prescritto non fa male, come non è vero che se fa male non va prescritto» (il nostro paese vanta solo dal 2010 la legge 38 che garantisce cure palliative e terapia del dolore al malato). «Il punto - prosegue Gatti - è che il dolore esige competenza, e questa manca. Non ripetiamo l’errore commesso con gli ansiolitici». E analizza il panorama italiano, dominato (dati Istat 2011, che raccontano un aumento di appeal degli antidolorifici nella fascia d’età 35-64 anni) da minor tolleranza verso il dolore fisico e da consumi domestici o “nascosti” dei farmaci, anche per sfuggire alla repressione e al giudizio sociale, da adolescenti che cercano lo sballo efficiente ma economico piuttosto che il piacere: «È cambiato l’atteggiamento verso la droga: si è passati dalla fase Ottanta-Novanta, quand’era estraniazione e devianza, ai Novanta-primi anni del millennio, ovvero il doping per far sesso e carriera, alla fase diciamo 2012-2013, in cui è consumata in senso utilitaristico, senza aderire a stili di vita, perché i nativi digitali vogliono facile, subito, gratis, scaricabile. Una vale l’altro, mi serve oggi, domani sarò normale, non faccio il tossico, la cultura dell’illegale non mi piace... ».
Consultare il Prevo.Lab, area previsionale sull’evoluzione dei fenomeni di abuso dell’Osservatorio regionale sulle dipendenze, di cui Gatti responsabile, è illuminante: vi si racconta di dati ufficiali che, a tutto il 2010, parlavano di diminuzione dei consumatori di droga “tradizionale”, ma anche di nuove sostanze reclamizzate in rete (gli stupefacenti sintetici, le “designer drugs”), e di pochi soldi a disposizione pure per lo sballo. E poi di depressione epocale e ottimismo teen, che spingono a strafarsi non per entrare in una dimensione iperbolica ma per godere di un benessere calmo. È la post-normalizzazione dei consumi, incarnata da una generazione che non ha chiaro il concetto di tossicodipendenza e non ne conosce le implicazioni etiche e sociali: i nativi digitali sono nativi esperienziali. «Una cultura nuova, dove gli antidolorifici entrano sempre di più», dice Gatti. Ma gli oppioidi, spiega una ricerca pubblicata dal magazine online Neuropsychopharmacology, sono anche una “sostanza gateway”: chi ha iniziato con l’ossicodone ha 5 volte più probabilità di passare ad altre dipendenze rispetto a chi debutta con la cannabis. E qui si nasconde un nuovo rischio, anche italiano. Perché le organizzazioni criminali che fanno business con le droghe classiche hanno le stesse preoccupazioni di ogni altro grande mercato, e tentano di “fidelizzare” il cliente. E per fidelizzare i nativi digitali, magari passati per l’abuso di oppioidi legali, la sostanza adatta è l’eroina. «Tra 2012 e 2015, soprattutto tra gli studenti, in Italia è previsto un aumento del consumo di eroina (37% in 3 anni!), fumata e non iniettata, non emarginante, meno cara. Pensiamoci: in Italia oggi tutto l’interesse è rivolto a un’altra dipendenza, l’azzardo; nessuno parla più di droga e, ogni volta che qui si tace, poi arriva l’emergenza».