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Fuori controllo l'invasione degli insetti transgenici

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Fuori controllo l'invasione degli insetti transgenici

Nel luglio scorso è stata evitata per un soffio l’immissione nell’ambiente di decine di migliaia di insetti transgenici a poca distanza dai confini italiani. Ma dal 2009 ad oggi sono già decine di milioni gli esemplari liberati nel mondo.

Decine di milioni di insetti geneticamente modificati liberi nell’ambiente. Non è un incubo né un fanta-thriller; è la realtà. Di cui pressoché nessuno parla, che pressoché nessuno spiega perché così nessuno si preoccupa o protesta. Dal 2009 l’azienda leader in questo campo, l’inglese Oxitec, sta immettendo nell’ambiente decine di milioni di esemplari nei quali sono state introdotte alterazioni genetiche con l’obiettivo (almeno quello dichiarato), a seconda dei casi, di rendere sterili gli accoppiamenti per ridurre il numero di eventuali parassiti o rendere inoffensivi insetti portatori di patologie per l’uomo. A due passi dal confine italiano si è evitato per un soffio, nel luglio 2015, il rilascio di decine di migliaia di mosche dell’olivo che la Oxitec voleva realizzare a Tarragona, in Spagna. L’intenzione è stata portata alla luce dall’associazione TestBiotech insieme ad altri movimenti, che hanno sollevato un polverone tale da indurre il governo spagnolo a non concedere l’autorizzazione. Peraltro negli ultimi anni è stata messa a punto una tecnica chiamata gene drive, grazie alla quale una determinata mutazione riesce a replicarsi da un cromosoma all’altro e viene trasmessa ai discendenti anche eludendo le regole della normale riproduzione sessuale, diffondendosi dunque con grande rapidità nell’intera popolazione di insetti e nell’ecosistema in maniera irreversibile.

Dal 2009 in silenzio

Di fatto, è dal 2009 che la Oxitec ha iniziato a rilasciare nell’ambiente milioni di esemplari di insetti geneticamente modificati. In quell’anno l’azienda, che conta tra le proprie fila molti tecnici arrivati direttamente da Sygenta, ha iniziato dalle Isole Cayman, territorio inglese senza legislazioni in materia di biosicurezza, diffondendo zanzare allo scopo dichiarato di combattere la febbre dengue. Sono stati modificati geneticamente esemplari di Aedes aegypti, responsabili della trasmissione della dengue, poi sono stati allevati in laboratorio e nutriti con tetracicline, cioè antibiotici; nell’ambiente sono stati liberati i maschi, che non pungono, che si accoppiano con le femmine dando luogo a discendenti portatori dell’alterazione che ne provoca la morte in assenza di nutrimento a base di tetracicline. Nel 2010 è stata la volta della Malesia, nel 2011 sono iniziati gli esperimenti in Brasile, sempre direttamente nell’ambiente, nel 2014 a Panama. Tra il 2001 e il 2002 in Arizona c’erano già stati test in campo aperto su aree limitate.

L’estate 2015 ha visto la liberazione di milioni di zanzare transgeniche nella zona di Piracicaba in Brasile, «rilascio dalle dimensioni maggiori rispetto a tutti gli altri» ha spiegato il responsabile del progetto in loco, Guilherme Trivellato, riferendosi all’area coperta: l’equivalente di 65 campi da calcio con 5.200 persone che ci vivono. E il rilascio proseguirà fino a marzo 2016, arrivando a 30 milioni di esemplari immessi nell’ambiente. «La verità? Quello che sta succedendo a Piracicaba è un esperimento, non esistono studi che consentano di affermare che non ci sono rischi» ha detto José Maria Gusman Ferraz del ministero brasiliano della scienza e tecnologia.

Ma tutto questo serve almeno contro la dengue? Dai primi dati sembrerebbe di no. I risultati delle Cayman lasciano trasparire l’inefficacia di questa strategia: sono stati liberati ogni settimana 2,8 milioni di esemplari maschi modificati per ridurre gli esemplari originari solo di 10.000 unità. Ma la cosa che lascia perplessi gli attivisti di GeneWatch, come spiegano, «è che non è stato monitorato l’impatto della liberazione di queste zanzare modificate sull’incidenza della dengue», unica cosa che sarebbe interessante verificare. «Peraltro, ridurre una specie di questo insetto» spiegano ancora da GeneWatch, «fa aumentare il numero di una specie rivale,Aedes albopictus, vettore importante di dengue e chikungunya che potrebbe essere molto più difficile da eradicare rispetto allaAedes aegypti; inoltre il virus potrebbe mutare e già ci sono segnali di queste circostanze».

La Oxitec lavora anche su parassiti delle colture agricole; per esempio, ha sviluppato esemplari transgenici di farfalla cavolaia, di mosca dell’olivo e di mosche della frutta. L’intenzione è quella di ridurre il numero di insetti “normali” perché si fa in modo che le femmine, dopo essersi accoppiate con maschi transgenici, muoiano allo stadio larvale. L’azienda inglese ha inoltre in animo di combinare piante geneticamente modificate con insetti transgenici per cercare di rallentare la diffusione della resistenza alle tossine contenute nelle stesse colture ogm. Un “esercito” di parassiti del cotone con alterazioni genetiche (contenenti un gene marcatore fluorescente e sterilizzati utilizzando radiazioni) è stato liberato nell’ambiente dal 2006 al 2008 negli Stati Uniti nell’ambito di un piano di controllo degli insetti dannosi e se ne stanno studiando esemplari che resistano alla tossina Bt di mais e cotone. Inoltre, è stato mappato il genoma delle api e nel 2011 la rivistaNatureha riportato l’intenzione degli scienziati di «costruire un’ape migliore»; i ricercatori stanno anche dandosi da fare per mappare il genoma di centinaia di altri insetti e atropodi.

I rischi

«In mancanza di una completa valutazione dei rischi, non si può avere consapevolezza delle conseguenze di questi esperimenti» aggiungono da GeneWatch, essendo peraltro ben chiaro che ai movimenti degli insetti non si possono mettere confini né limiti. «Ci sono tanti meccanismi grazie ai quali questi insetti modificati geneticamente possono sopravvivere e disseminarsi ovunque e si pensi al fatto che in laboratorio almeno un 3% degli esemplari ha mostrato di riuscire a sopravvivere anche senza alimentarsi con tetracicline. Quando queste zanzare sono state alimentate con cibo per gatti industriale contenente pollo trattato con tetracicline, la loro sopravvivenza è aumentata dal 15 al 18%. Inoltre, spesso vengono rilasciate anche femmine che rimangono nei gruppi liberati; le femmine sono quelle che pungono, alle Isole Cayman ne sono state individuate 5.000 ogni milione di maschi. Quelli che sopravvivono possono poi evolversi con mutazioni genetiche tali da diventare resistenti ai meccanismi stessi che dovrebbero farli soccombere». Un altro rischio, sempre secondo GeneWatch, è la disseminazione ulteriore nell’ambiente della resistenza agli antibiotici che potrebbe passare al sangue umano. Poi, anche l’uso di ceppi non autoctoni potrebbe portare non poco scompiglio.

Ma il peggio deve venire

Quello che ha portato la stessa rivistaNature, con un editoriale nell’agosto scorso, a mettere in chiaro come non si possano più ignorare i rischi, è la ulteriore evoluzione di queste tecniche di manipolazione genetica degli insetti, chiamatagene drive. Praticamente, il gene modificato riesce a “saltare” da un cromosoma ad un altro nello stesso individuo, quindi tutto lo sperma o le uova di quell’esemplare porteranno il tratto transgenico, non solo la metà di essi come avviene con l’accoppiamento. Il metodo, che si sta attualmente applicando, permette appunto di diffondere le alterazioni eludendo persino le normali regole dell’accoppiamento, quindi con maggiore velocità e irreversibilità. Come riportato sempre su Nature, il 30 luglio la National Academy of Sciences, Engineering and Medicine (NAS) americana ha organizzato il primo di una serie di meeting con l’intento di chiarire i pericoli di tali operazioni. Il nuovo metodo può rapidamente modificare non un singolo organismo, bensì una intera popolazione, con una modalità che aumenta esponenzialmente le probabilità che l’alterazione venga trasmessa alle generazioni successive. La tecnica potrebbe essere utilizzata per rendere le zanzare incapaci di trasmettere la malaria o per eliminare specie invasive, ma sta di fatto che possono esserci impatti ambientali inimmaginabili e attualmente non studiati, per di più non reversibili. «Una volta che si parte, non si torna più indietro» ha detto Walter Tabachnick, genetista dell’università della Florida. E Kevin Esvelt, un bioingegnere della Harvard Medical School di Boston, ha costituito un gruppo di scienziati insieme ai quali chiede a gran voce che vengano definite strategie di contenimento per la ricerca in questo campo.

Il problema è che non ci sono legislazioni apposite e le maglie sono larghissime. I pochi obblighi esistenti sono molto facilmente eludibili.

Cosa fare

Il rischio, di fronte a tutto questo, è di sentirsi impotenti. Le decisioni vengono prese spesso in silenzio, senza informare correttamente la popolazione e quindi si fatica ad ottenere le informazioni che permetterebbero di far sentire la propria voce critica e di chiedere tutele e garanzie per la salute e l’ambiente. Vi forniamo però alcuni suggerimenti che possono, se non altro, far presente che la sensibilità dei cittadini cresce e che possono mettere le autorità nella posizione di sentirsi “monitorate” anche in Italia.

Scrivete al Cnr. Scrivete al Consiglio Nazionale delle Ricerche, indirizzando la vostra lettera al presidente, Luigi Nicolais. Stampatevi le fonti bibliografiche che qui trovate citate, esprimete la vostra preoccupazione, fate presente che manterrete alta l’attenzione e chiedete che il Cnr si faccia promotore di un appello nei confronti dei ricercatori e degli scienziati che chieda il pieno rispetto del principio di precauzione. Cnr, all’attenzione del presidente prof. Luici Nicolais, piazzale Aldo Moro 7, 00185 Roma; tel 06-49933200, email presidenza@cnr.it.

Scrivete al Ministero dell’Ambiente e a quello della Ricerca scientifica. Anche in questo caso, Stampatevi le fonti bibliografiche che qui trovate citate, esprimete la vostra preoccupazione, fate presente che manterrete alta l’attenzione e chiedete che il ministro, in prima persona, si prenda l’impegno di aprire un dibattito con la cittadinanza e di informare correttamente la popolazione qualora si dovessero verificare situazioni anche in Italia in cui viene richiesta l’autorizzazione alla ricerca in laboratorio su insetti transgenici o al rilascio nell’ambiente. Ministro dell'Ambiente, via Cristoforo Colombo 44, 00147 Roma, tel. 06-57221, email URP@minambiente.it; Ministro dell’Università e Ricerca, via Michele Carcani 61, 00153 Roma, tel. 06-97721, email urp@istruzione.it e segreteria.duar@miur.it.

Scrivete alla Oxitec. Potete esprimere la vostra preoccupazione e chiedete che vi vengano forniti tutti gli studi in loro possesso che hanno accertato la sicurezza dell’immissione nell’ambiente di insetti transgenici. Scoprirete che i dati a disposizione sono veramente pochissimi. Oxitec Ltd, 71 Innovation Drive, Milton Park, Abingdon, UK OX14 4RQ, tel +44 (0) 1235 832 393, email info@oxitec.com.

Se qualcuno vi risponde, contattateci e inviateci il materiale; sarà interessante esaminarlo.

di Beatrice Salvemini





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