Mercoledì 20 gennaio 2016 la prestigiosa Accademia dei Georgofili di Firenze, ha tenuto a Torino, in collaborazione con la locale Accademia di Agricoltura, una adunanza pubblica sul tema: “Canapa: presente e futuro prossimo”. Quando ho cominciato a insegnare Merceologia una intera lezione era dedicata alla canapa; erano gli anni del dopoguerra e l’Italia aveva una posizione dominante nella produzione e nel commercio di questa fibra tessile vegetale ricavata dal fusto delle piante di Cannabis sativa; allora l’Italia era infatti il secondo produttore di canapa al mondo (dietro soltanto all’Unione Sovietica). La migliore fibra di canapa in assoluto veniva dalla varietà “Carmagnola”, dal nome della città piemontese dove si trova il più importante ecomuseo italiano della cultura e della lavorazione della canapa. Per secoli un importante acquirente della canapa italiana è stata la Marina Inglese che l’usava per cavi (canapi, appunto) e vele e da sempre la canapa italiana è stata riconosciuta una fibra tessile della migliore qualità per indumenti.
La coltivazione è stata poi progressivamente abbandonata e nel 1979 la produzione italiana di canapa era scesa a zero, mentre nel mondo era ancora di circa 200.000 tonnellate all’anno. In questo inizio del XXI secolo la produzione mondiale di canapa è ancora di circa 70.000 tonnellate all’anno, soprattutto in Francia e Cina.
Il declino della canapa è stato dovuto da una parte all’aggressiva invasione delle fibre sintetiche e dall’altra alla cattiva fama dovuta al fatto che nelle inflorescenze femminili sono contenute alcune sostanze stupefacenti, fra cui il tetraidrocannabinolo THC, note come eccitanti dai tempi più antichi. La concentrazione di THC, misurata secondo rigorose norme analitiche stabilite a livello europeo, varia fra 0,2 percento, nelle inflorescenze delle piante da fibra ad alcune unità percento nelle piante di cui è vietata la coltivazione. Finalmente lentamente sta tornando l’interesse per la coltivazione e l’utilizzo della canapa tessile, favorita anche dal fatto che alcuni anni fa le Nazioni Unite hanno lanciato un anno internazionale delle fibre tessili naturali, il cui uso favorisce l’agricoltura in molti paesi emergenti.
Una qualche coltivazione e lavorazione della canapa sta riprendendo anche in Italia, una operazione importante anche dal punto di vista culturale perché si riscopre la storia di tale coltivazione e vengono riscoperte tecnologie e pratiche che in passato avevano raggiunto un elevato grado di successo tecnico-scientifico e che è possibile ritrovare in vari musei della canapa. La rinascita della coltivazione e lavorazione della canapa consente l’utilizzazione di terre marginali con vantaggio per l’economia e per l’ambiente. Il ciclo produttivo della canapa tessile comincia con la fase agricola: la Cannabis sativa è una pianta erbacea annua con fusto sottile ed eretto, alto da 2 a 6 metri, coltivata nei climi temperati. In passato per ricavarne la fibra, dopo la raccolta i fusti privati delle foglie erano stesi sul terreno e poi, riuniti in piccoli fasci, erano sottoposti alla macerazione, una operazione in cui adatti microrganismi decompongono le sostanze collanti che tengono unite le fibre periferiche alla parte interna legnosa della bacchetta, il canapulo. Si tratta di un delicato processo di biotecnologia in cui l’Italia aveva occupato una posizione di rilievo; uno dei microrganismi era stato identificato nei maceri emiliani e denominato Bacillus felsineus. Per il distacco delle fibre dal canapulo (stigliatura), erano state inventate speciali macchine che assicuravano l’integrità delle fibre, tanto più pregiate quanto più erano lunghe e omogenee. Adesso la raccolta, macerazione e stigliatura della canapa sono fatte tutte meccanicamente.
La fibra è soltanto una piccola parte, circa il 10 per cento, delle circa 10 tonnellate per ettaro di biomassa secca che si ottiene in un anno dalla coltivazione della canapa, un rendimento elevato rispetto all’energia solare impiegata per la fotosintesi della biomassa.
Le fibre, ricche di cellulosa, si presentano sotto forma di lunghi filamenti di diametro irregolare; relegata per anni a usi meno nobili, come la produzione di sacchi, spaghi e cordami, la canapa, adesso in Italia in gran parte di importazione, ricomincia a trovare utilizzazione per la produzione di tessuti per lenzuola, tende e indumenti, grazie anche a innovazioni tecniche nei processi di filatura e tessitura; le caratteristiche chimiche e fisiche delle fibre fanno sì che i tessuti di canapa diano una sensazione di freschezza perché assorbono e disperdono il calore e l’umidità del corpo. Attualmente le fibre di canapa vengono impiegate per la produzione di fibre tecniche, per esempio per le imbottiture, per cordami, per carta di qualità, eccetera. Vi sono poi fibre corte che trovano impiego per la produzione di pasta da carta, in edilizia per la produzione di pannelli isolanti termici ed acustici e di manufatti di fibro-cemento, utile alternativa al nocivo amianto.
I canapuli, ricchi di lignina e emicellulose, si prestano come combustibili, per la fabbricazione di cartoni e cellulosa, in edilizia come pannelli. I semi di canapa trovano impiego nell’alimentazione animale e il relativo olio viene usato in cosmesi e per vernici, ma ha anche potenziale importanza per la produzione di “biodiesel”, il carburante per motori diesel ottenuto esterificando, cioè unendo chimicamente, gli acidi grassi dei grassi naturali con alcol etilico.
La resurrezione della canapa avrebbe importanza anche per il Mezzogiorno e sarebbe facilitata da una mobilitazione della ricerca nei vari aspetti agronomici, chimici e merceologici, con vantaggi anche ambientali.
Lascia un commento