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Ogm, vent'anni di fallimenti

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Ogm, vent'anni di fallimenti

Dall’avvio delle coltivazioni commerciali, nel 1996, ad oggi, gli ogm, come spiega il rapporto di Greenpeace, «hanno prodotto profitti miliardari per una manciata di multinazionali senza apportare benefici all’agricoltura. Anzi…».

Vent’anni fa, nel 1996, negli Stati Uniti iniziavano le coltivazioni a fini commerciali di organismi geneticamente modificati e sempre in quell’anno il primo carico fece il suo ingresso in Europa. Prima e dopo quel momento sono stati investiti fiumi di denaro negli ogm, introdotti massicciamente come coltivazioni in alcuni paesi e approdati sulle nostre tavole nella più totale disapplicazione del principio di precauzione. L’Italia per ora ha notificato all’Unione Europea la richiesta di divieto di coltivazione(1), come previsto dalla Direttiva UE del marzo 2015, ma ciò che si coltiva altrove viaggia come una merce, entra nella filiera alimentare direttamente o indirettamente perché magari alimenta gli animali di cui poi noi ci cibiamo. Ebbene, a vent’anni di distanza è possibile un bilancio. Chi sostiene e ha sostenuto gli ogm ha avallato super-promesse: “Risolveranno il problema della fame nel mondo”, “Aumenteranno i raccolti”, “Si ridurrà l’uso di sostanze chimiche tossiche”. È andata così o no?

La fotografia del fallimento

«La realtà è ben diversa dalle promesse fatte» spiegano Janet Cotter, Marco Contiero, Dirk Zimmermann e Justine Maillot nel recente rapporto di Greenpeace dal titolo Twenty years of failure(2) [Scaricabile dall'allegato Pdf in versione integrale]. «La verità è che le colture ogm hanno rafforzato il modello devastante dell’agricoltura industriale, con le sue monocolture che riducono la biodiversità, l’enorme impatto ambientale, la pressione economica sui piccoli contadini e il totale fallimento rispetto all’illusione di fornire cibo sicuro, sano e nutriente a chi ne ha bisogno».

Non nutrono il mondo. «Non ci sono colture ogm progettate specificatamente per aumentare i raccolti e tutti gli studi sono inconclusivi su questo punto, con risultati che variano a seconda del tipo di coltivazione, dell’area geografica e di altre condizioni locali» spiega lo staff di Greenpeace. «Le evidenze ci dimostrano che laddove il raccolto aumenta, ciò accade solo perché negli anni in cui le infestazioni sono intense, le perdite sono minori. Inoltre gli studi spesso mancano di isolare gli effetti della tecnologia della modificazione genetica dagli altri fattori. Addirittura capita che i raccolti ogm siano più scarsi rispetto agli altri». Non sono andati a buon fine nemmeno i tentativi di sviluppare colture ogm specifiche che garantissero benefici alle popolazioni africane, spiega il rapporto. «Un progetto del Kenya Agricultural Research Institute ha usato tecnologie Monsanto per sviluppare patate dolci resistenti a parassiti, ma i risultati sono stati deludenti(3), così come il mais resistente agli insetti della Sygenta». Poi ci sono le colture che vengono manipolate per alterarne le proprietà nutrizionali, l’esempio più noto è quello del golden rice, il riso modificato per produrre betacarotene che possa essere convertito in vitamina A nell’organismo umano. Malgrado anni di ricerche ed esperimenti, il progetto è andato incontro ad una lunga serie di fallimenti(4). «Nel mondo ci sono 500 milioni di piccoli contadini che sfamano 2 miliardi di persone e producono l’80% del cibo consumato in Asia e nell’Arica sub-sahariana» prosegue il rapporto di Greenpeace. «Queste comunità sono le più vulnerabili alla povertà e alla fame e la loro sicurezza alimentare dipende dall’accesso alle risorse e dalla possibilità di diversificare la produzione. Gli ogm non sono stati pensati per soddisfare queste esigenze».

Non resistono ai cambiamenti climatici. «In tutti questi anni gli ogm non si sono dimostrati resistenti ad allagamenti, siccità o salinità del terreno. Questo perché l’inserimento di uno o più geni con tecniche relativamente poco sofisticate rendono molto difficile coordinare l’insieme dei geni della pianta e la loro espressione». Gli ogm inoltre vengono usati per monocolture industriali su larga scala che riducono la biodiversità locale e richiedono fertilizzanti sintetici e pesticidi.

Non si può affermare che siano sicuri per la salute e l’ambiente. «Non c’è consenso scientifico sulla sicurezza dei cibi geneticamente modificati» spiega lo staff di Greenpeace. Una delle preoccupazioni principali riguarda il fatto che i geni inseriti o alterati operano al di fuori della complessa regolazione del genoma, che resta ancora poco compresa. Inoltre il procedimento di ingegneria genetica è ben lontano dall’essere perfetto. In ogm in commercio sono stati individuate modifiche non volute, come riproduzioni multiple o frammenti addizionali di geni oppure un riassetto del Dna vegetale. I geni inseriti e le alterazioni inattese possono interferire con i geni propri della pianta. Tutto ciò sta a significare che ci sono effetti non prevedibili e inattesi che possono incidere sulla sicurezza del cibo stesso. Nel 2015 oltre 300 scienziati indipendenti hanno sottoscritto una dichiarazione(5) con la quale sottolineavano la mancanza di consenso sulla sicurezza degli ogm e chiedevano una valutazione caso per caso. Inoltre le colture ogm implicano un aumento del rilascio di sostanze chimiche nell’ambiente, si veda il caso del glifosato ritenuto probabilmente cancerogeno dallo Iarc(6). Ci sono poi problematiche importanti che intralciano la ricerca indipendente: vengono spesso negati i campioni per i test perché viene invocata la proprietà intellettuale oppure viene impedita la pubblicazione dei dati negativi(7); alcuni scienziati hanno anche espresso il timore di essere bersaglio di cause da parte delle multinazionali del biotech. Numerosi ricercatori nel 2009 hanno scritto anonimamente all’Epa, l’Agenzia americana per la protezione ambientale, per lamentare il fatto che è praticamente impossibile fare ricerca indipendente sugli ogm(8).

Non rendono sicura e facile la coltivazione. Gli ogm resistenti all’erbicida Roundup (glifosato) della Monsanto sono oggi le colture più diffuse. «Nel 2009 oltre il 90% della soia in Usa era diventata però tollerante al Roundup stesso, così come 19 delle 26 colture ogm sottoposte a richiesta di autorizzazione in Europa nel 2012» spiega Greenpeace. Crescono quindi erbacce super-infestanti contro cui nemmeno il glifosato funziona più e occorre usare erbicidi ancora più potenti e tossici che danneggiano in maniera grave l’ambiente. La risposta dell’industria è stata di progettare colture ogm resistenti ad altri erbicidi, tra cui uno degli ingredienti attivi del tristemente famoso Agente Arancio, il defoliante usato nella guerra del Vietnam(9). Sono poi stati creati gli ogm che producono la tossina Bt, emettono cioè un insetticida in continuo rilasciandolo nell’ambiente anche se non ce n’è bisogno e questo causa lo sviluppo di super-parassiti(10).

Non riducono i costi per i contadini. La tecnologia ogm ha fatto lievitare i prezzi delle sementi. Dal 2000, quando la soia ogm ha iniziato a dominare la scena negli Usa, i prezzi sono lievitati del 200%, mentre nei 25 anni precedenti erano aumentati del 63%(11). Per il mais è accaduta una cosa simile. Le multinazionali dell’agrochimica, poi, non permettono agli agricoltori di riprodurre i semi, che sono sempre da ricomprare. Il fatto di usare un solo erbicida per le colture resistenti al Roundup e di diminuire l’acquisto di pesticidi per le colture che emettono la tossina Bt può ridurre i costi iniziali, salvo farli di nuovo lievitare quando bisogna ricorrere ad altri prodotti per trattare erbacce e piante che si sono assuefatte a quelle sostanze. Nel 2004 chi coltivava cotone ogm in Cina ha speso 101 dollari per ettaro in pesticidi, quasi più che per le colture convenzionali, e ne ha spruzzato tre volte di più rispetto al 1999. In India, in condizioni di stress climatico, il cotone Bt ha prodotto raccolti peggiori rispetto al cotone biologico, che ha avuto quantità più stabili, costi minori e rese maggiori(12). Una situazione simile si è verificata in Sud Africa con il mais Bt(13). Ovviamente, calando le rese per gli agricoltori, questi faranno sempre più fatica a sostenere i costi di produzione e magari anche a saldare i debiti.

La coesistenza non è possibile. Dalla fine del 2013 ci sono stati circa 400 casi di contaminazione accidentale nel mondo(14) dovuti a diversi fattori tra cui errori umani nella semina, nel raccolto o nell’etichettatura e sistemi di contenimento inefficaci, ma anche alla semplice impollinazione o al trasporto. Tali “incidenti” possono provocare danni per cifre ingentissime, contaminano le colture convenzionali e causano la crescita di ogm fuori controllo.

Gli ogm non sono la soluzione

«È ormai chiaro che gli ogm hanno fallito, non hanno permesso di ridurre i pesticidi in agricoltura e non hanno aumentato i raccolti. Inoltre, producono anche danni» spiegano gli esperti di Greenpeace. Sottraggono potere e competenze agli agricoltori, rendono i semi una proprietà privata sottoposta a diritti di brevetto, garantiscono profitti enormi alle multinazionali e non riducono i costi a carico dei contadini, impediscono insomma un reale progresso dell’agricoltura. Sei multinazionali (Monsanto, Dow, Syngenta, Bayer, Dupont e Basf) detengono quasi tutto il mercato degli ogm e controllano il 76% del mercato dell’agrochimica(15). E tre di queste (Monsanto, Du Pont and Syngenta) controllano anche il 53% del mercato globale delle sementi.

«Una tecnologia che incoraggia le monocolture, che aumenta l’uso di pesticidi, che alimenta il monopolio delle multinazionali e aumenta la pressione economica sui contadini è chiaramente una scelta che fa parte del passato agroindustriale, non di un futuro ecologico» conclude il rapporto di Greenpeace.

1www.terranuova.it/Orto-e-Giardino/OGM-l-Italia-chiede-il-divieto-di-coltivazione

2www.greenpeace.org/international/Global/international/publications/agriculture/2015/Twenty%20Years%20of%20Failure.pdf

3www.newscientist.com/article/mg18124330-700-monsanto-failure/

4http://gmwatch.org/news/latest-news/16043-golden-rice-is-it-vaporware

5www.enveurope.com/content/27/1/4

6www.iarc.fr/en/media-centre/iarcnews/pdf/MonographVolume112.pdf

7www.emilywaltz.com/Biotech_crop_research_restrictions_Oct_2009.pdf

8www.nytimes.com/2009/02/20/business/20crop.html?_r=1

9www.emilywaltz.com/Dicamba_-_Apr_15.pdf

10Tabashnik, B.E., Brévault, T. & Carrière, Y.,Insect resistance to Bt crops: lessons from the first billion acresin «Nature Biotechnology», 31: 510-521, 2013. Si veda anche Gassmann, A.J., Petzold-Maxwell, J.L., Clifton, E.H., Dunbar, M.W., Hoffmann, A.M. Ingber, D.A. & Keweshan, R.S.,Field-evolved resistance by western corn rootworm to multiple Bacillus thuringiensis toxins in transgenic maizein «Proceedings of the National Academy of Science», 111: 5141–5146, 2014.

11www.enveurope.com/content/24/1/24

12www.greenpeace.org/international/en/publications/reports/Picking-Cotton/

13Si veda alla pag. 15 del volume: www.sajs.co.za/sites/default/files/Volume%20111%20Issue%201-2%20%286MB%29.pdf

14http://link.springer.com/article/10.1186%2Fs40550-014-0005-8

15www.etcgroup.org/putting_the_cartel_before_the_horse_2013

di Terra Nuova



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This page contains a single entry by Archimede published on 04.03.16 14:45.

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