Farmaci, il vizietto delle maxi confezioni. Spreco o dolo?
ROMA – Confezioni da 10 pillole e cure da 7 giorni. A tutti o quasi è capitato, per malanni più o meno gravi, dall’influenza alle patologie ben più serie, di avere una prescrizione medica che indicasse una cura ad esempio di una settimana e di trovare in farmacia confezioni che contengono più o meno pillole di quelle necessarie a completare il ciclo indicato. Una differenza che nella pratica si traduce in medicinali che finiscono nel cestino o comunque inutilizzati in un cassetto della casa, ma che per le casse pubbliche significa un costo che è in realtà uno spreco.
E questo perché i farmaci, a prescindere dall’uso che se ne fa, si pagano. E se a pagare è lo Stato, e il pagamento viene effettuato per farmaci che non vengono poi utilizzati, i soldi dello Stato finiscono per essere spesi per niente. Soldi dello Stato che, val la pena ricordare, sono di tutti noi. O almeno di tutti quelli che pagano le tasse.
“Un farmaco su dieci finisce nel cestino perché le scatole contengono più o meno pillole di quelle che servono per completare la terapia – racconta Paolo Russo su La Stampa -. Uno spreco che da solo ci costa 1,6 miliardi l’anno”. Uno spreco senza dubbio e che dura da tempo. Ma perché non si elimina? E’ solo spreco o anche dolo? Un farmaco buttato su dici acquistati conviene anche a qualcuno? Innesta il meccanismo per cui butti gli “avanzi” della prima confezione e compri una seconda confezione intera?
‘Una cifra che è una signora cifra’, direbbe uno dei personaggi del film ‘Un sacco bello’ di Carlo Verdone. E una cifra pesante ancor più se abbinata alla fonte che la eroga: la sanità pubblica. Sanità che è da tempo una delle principali voci di spesa pubblica e che da sempre o quasi è alle prese con conti che si fatica molto, per usare un eufemismo, a far quadrare. Una situazione sui cui pesano poi le consulenze d’oro che fanno gettare al vento altri 780 milioni. E poi i project financing troppo costosi utilizzati per costruire ospedali e ancora le spese legali inutili, per procedimenti contro medici e nosocomi destinati all’archiviazione. Un mare magnum di sprechi che a fine anno pesa per circa 3,5 miliardi, come certifica uno studio del sindacato dei medici ospedalieri Anaao-giovani.
Ma se tutti gli sprechi vanno, anzi andrebbero attaccati e cancellati, quello delle confezioni dalle misure ‘sbagliate’ salta agli occhi come uno dei più odiosi e, in teoria, facilmente risolvibili. Si stima infatti che per colpa delle scatole con un numero di pillole inadeguato alla terapia si sprechi il 10% dei medicinali, calcolo fatto dal prestigioso British Medical Journal. E questo nonostante in Italia da circa dieci anni leggi e manovre economiche prescrivono all’industria di produrre “confezioni ottimali” di medicinali, tarate sulla durata di una terapia. Prescrizioni che però, nonostante siano destinate a chi produce medicinali, sono rimaste semplicemente lettera morta.
“Quasi tutti gli antibiotici sono venduti in confezioni tutt’alto che ottimali – spiega Pierluigi Bartoletti, vice segretario nazionale della Fimmg, la Federazione dei medici di famiglia-. L’amoxicillina con acido clavulanico (il noto Augmentin, l’antibiotico forse più usato e quello che si da più frequentemente ai bambini) è commercializzata in blister da 12 compresse, che bastano per 6 giorni di terapia, quando minimo di giorni ne servono sette”. “Così – spiega ancora Bartoletti – il paziente deve acquistare una seconda scatola per consumare magari solo due pastiglie, mentre le altre 10 finiscono nell’armadietto”. E da questo poi allo smaltimento rifiuti. O peggio sino a “quando il paziente, avendole sottomano, non decide alla prima occasione di utilizzare le pillole che restano per soli 5 giorni, che non servono a curare ma a creare le famigerate resistenze agli antibiotici da parte dei nuovi super-batteri”.
E ancora la Ciprofloxacina, altro diffuso antibiotico venduto in scatole da 5 compresse anziché da sette. Cosa che rende necessario l’acquisto di una seconda confezione che comporta però, automaticamente, lo spreco delle restanti 3 pillole.
“Analogo spreco avviene per gli anti-ipertensivi per i quali le confezioni sono solitamente da 28 compresse. Troppo poche per la terapia di un cronico, troppe per chi deve solo testare il funzionamento del farmaco, magari per solo 10 o 15 giorni”.